
L’edificio preesistente rappresenta un pezzo di storia dell’antico villaggio di montagna che, in seguito ai numerosi frazionamenti e ai tanti interventi effettuati negli ultimi 50 anni, sta perdendo la sua originaria connotazione. |
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«Per progettare e recuperare un rustico come questo occorre entrare in perfetta sintonia con il pensiero e la forza che avevano gli abitanti di questo villaggio montano. Ho rivolto la mia attenzione alla semplicità e al gran rigore logico, che ispirò le soluzioni architettoniche dell'epoca, perfette per il tipo di edificio che era agricolo. L'impiego di materiali come legno di larice e abete, le orditure principali capaci di contrastare e resistere a carichi accidentali come la neve (molto abbondante da queste parti), sono punti focali obbligati per la progettazione».
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Pur inserendo all’interno ogni genere di comfort e materiali tecnicamente validi per garantire il massimo benessere, si mettono in evidenza, oltre alle strutture, volumi e scorci di edificio che un tempo avevano particolari funzioni. La “tzambretta”, cioè una stanza molto ventilata in cui si usava essiccare la carne per conservarla durante tutto l’inverno, per esempio, diventa la sala da pranzo della nuova unità abitativa, mantenendo le caratteristiche architettoniche di un tempo.
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È un pezzo di storia che viene riconsegnato alla memoria del villaggio. Villaggio inteso come luogo di solidarietà organica tra le persone che ci abitano e come punto di incontro tra le persone che collaborano per superare i momenti critici dell’inverno vissuto in alta montagna.
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